Se siete dei fautori del lietofineatuttiicosti, meglio
stare a casa e tirare fuori qualche videocassetta Disney. Se invece
non avete paura di spargere qualche lacrimuccia, questo film offre
quasi due ore di bella musica (bluegrass) e momenti intensi. Sembra
quasi impossibile raccontare una storia del genere senza cadere nel
melenso, invece. Un po' seguendo la falsa riga di Blue Valentine,
racconta con sequenze alternate l'inizio idilliaco della storia
d'amore tra Didier e Elise, l'arrivo della figlia Maybelle, la
malattia e le sue conseguenze sulla coppia. Bei personaggi, bei
dialoghi, bellissime scene. Perché non il massimo dei voti? Perché
è un po' un pippone. Si esce dalla sala con un sospiro e una
toccatina.
Locke segue il viaggio in autostrada di
Ivan Locke, “l'uomo migliore d'Inghilterra”: un
costruttore, serio e meticoloso. Capocantiere in procinto di dirigere
la più grande colata di calcestruzzo d'Europa, volta le spalle al
suo amato calcestruzzo e si mette in macchina. Durante il tragitto
che separa il cantiere e Londra, il suo personaggio cade a pezzi.
Telefonata dopo telefonata, assistiamo alla rovina della sua
esistenza.
Il potenziale di noia è altissimo. Nonostante questo,
l'ora e mezza di pellicola passa in fretta. Scappa però una
bestemmia all'apparire dei titoli di coda: mi è parsa un'occasione
sprecata. Per motivi di regia i personaggi che ruotano attorno al
protagonista sono esageratamente marcati, prendono decisioni
affrettate e hanno comportamenti quasi caricaturali. Forse il film
sarebbe riuscito meglio se il regista avesse rinunciato all'ambizione
di essere ricordato come “quello che ha fatto il film del tipo in
macchina” e avesse dato spazio alle vicende collaterali.
Inspiegabile il plauso unanime della critica, tutto sommato è una
storia trascurabile. Il grande protagonista è senza dubbio il
calcestruzzo (e la barba di Tom Hardy).